Le scoperte archeologiche sul periodo della
prima cristianità ci affascinano sempre. L'impressione mondiale
suscitata dall'ossario (un'urna per ossa) di «Giacomo figlio di
Giuseppe fratello di Gesù» potrebbe dimostrarsi essere, appunto,
solo un'emozione. Alcuni commentatori hanno già affermato che si
tratterebbe della più antica prova archeologica dell'esistenza
di Gesù. Ma se anche l'ossario dovesse rivelarsi autentico,
sarebbe, comunque, soltanto il secondo pezzo di prova. Il più
antico, e di gran lunga, è il frammento del «Titulus»,
l'iscrizione collocata sulla croce di Cristo da Ponzio Pilato,
il 7 aprile dell'anno 30. Il frammento è conservato nella chiesa
di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (l'ex palazzo
dell'imperatrice Elena, madre di Costantino il Grande), ed è
stato autenticato da una mia ricerca recente («La vera croce. Da
Gerusalemme a Roma alla ricerca del simbolo del cristianesimo»,
Mondadori, 2001).
Nel caso sia autentico, l'ossario di Giacomo
dev'essere datato all'anno 63: Giacomo fu ucciso nel 62, e
occorre circa un anno (o anche meno) perché in un cadavere
sepolto le ossa siano liberate dalla carne - il momento cioè nel
quale le ossa sono raccolte e ricomposte in un'urna, per
attendere la risurrezione del credente negli ultimi giorni (si
veda il capitolo 37 di Ezechiele).
Ma il reperto è autentico? Molte sono le
domande che restano senza risposta. Teoricamente, l'iscrizione
incisa sull'urna potrebbe riferirsi a quel Giacomo chiamato
«fratello del Signore» da san Paolo (Galati 1,19). Persino se
Giacomo fosse solo cugino di Gesù, sarebbe stato chiamato
«fratello». Ma anche lo studioso che per primo ha identificato
l'iscrizione (il professor Lemaire della Sorbona di Parigi)
ammette che Giacomo, Giuseppe e Gesù erano i tre nomi più
popolari in Galilea, Giudea e Samaria in età neotestamentaria. E
anche a Gerusalemme, come lo stesso Lemaire ammette, c'erano -
statisticamente - almeno 20 famiglie nelle quali era possibile
la combinazione di questi tre nomi. Sicché non sarà mai
conoscibile con sicurezza chi fosse il «Giacomo» i cui resti
erano raccolti nell'ossario. Va detto che, al tempo della sua
morte, Giacomo era una persona molto importante. Dopo la
partenza di san Pietro, era l'autentico leader della Chiesa di
Gerusalemme. Alcuni studiosi lo chiamano «il Vescovo», altri,
come il tedesco Martin Hengel dell'Università di Tubinga,
sottolineano la sua importanza chiamandolo «il primo Papa».
Sarebbe dunque stata tranquillamente evitabile la sua
identificazione riferendolo a «Gesù». E se un riferimento a suo
fratello era necessario, sarebbe stato usato l'epiteto
aggiuntivo «il Signore» (si veda, anche, Galati 1,19), o «il
Messia», o «il Figlio di Dio». Inoltre, «Yeoshua» inciso
sull'ossario è sospetto per un'altra ragione: Giacomo e Gesù
provenivano dalla Galilea, e nell'aramaico galileo «Gesù» era «Yeshu»,
senza la «a» finale.
A maggior ragione l'ossario non è stato trovato «in situ» (in
una tomba precedentemente non aperta) ma sul mercato antiquario.
Tutti gli archeologi perciò dubiteranno della sua autenticità.
L'iscrizione aramaica è molto chiara e leggibile; può essere
compresa da chiunque (!) conosca l'ebraico moderno. È perciò
molto difficile che nessuno sapesse cosa vi fosse scritto prima
che la vedesse il professor Lemaire.
La chiarissima, curata scansione delle lettere sull'ossario
suscita un'altra domanda: nelle urne per ossa di questo periodo
l'iscrizione era aggiunta all'ultimo momento, quando essa era
già stata posta nella tomba. Perciò lo scrivente cominciava dal
lato destro continuando verso sinistra ed era impossibile finire
un'iscrizione con tutte le lettere equidistanti. Verso la fine
le lettere sarebbero state condensate, curvando verso il basso
(chiunque può provarlo per via di esperimento!). Un ottimo
esempio è l'autentico ossario di «Joseph Bar Kaiaphas», il sommo
sacerdote, scoperto nella tomba della famiglia di Caifa nella
parte sud-est di Gerusalemme. Le lettere sono incise in maniera
affrettata, e pendono verso il basso. Gli archeologi israeliani
che hanno espresso commenti sull'ossario di «Giacomo» hanno
sottolineato che la stessa urna per ossa probabilmente è del
primo secolo, ma che ci sono centinaia di tali ossari senza
iscrizioni. Resta il sospetto che la troppo curata iscrizione
sia stata aggiunta più tardi da un falsario. E non è difficile
«invecchiare» un'iscrizione aggiungendo una patina artificiale.
Questi sono i principali aspetti che gettano il dubbio su questo
ossario. È un falso? E se non lo è, si riferisce realmente a
Giacomo, figlio di Giuseppe di Nazareth, «il fratello del
Signore» (in italiano nel testo ndt) o a qualcun altro con lo
stesso nome? Possono esserci risposte. Ma non sono state date e
può essere che sia impossibile darle. Per tutti coloro che siano
interessati a un ossario senza dubbio autentico di una persona
menzionata nel Nuovo Testamento, l'Università Ebraica di
Gerusalemme possiede quello di «Alessandro, figlio di Simone di
Cirene». Tutti gli studiosi concordano sul fatto che sia la
persona di cui si parla nel Vangelo di Marco 15, 21!