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Storicità dei Vangeli

A GESU' ATTRAVERSO I VANGELI

Storia ed ermeneutica  

Ed. Cittadella, Assisi, 1979

 

 - Breve sintesi del testo -

Capitolo 1: L’APPRODO STORICO A GESÙ

 È la questione fondamentale in ordine alla credibilità del cristianesimo, è questione forte in quanto noi non conosciamo Gesù attraverso una sua testimonianza diretta, dei suoi scritti, bensì attraverso il cristianesimo.

La storicità è la dimensione caratteristica della rivelazione cristiana che non è una gnosi

I vangeli sono poi i documenti di fede che stanno alla base della religione cristiana, messia, Signore, Figlio di Dio sono tutti titoli post-pasquali, per andare al Gesù storico è necessario penetrare questa cortina.

I vangelo sono poi stati scritti diversi anni dopo la morte di Gesù, dopo una tradizione orale, hanno come preciso destinatario una comunità con la sua realtà e i suoi problemi.

Siamo cioè sempre di fronte ad una interpretazione del messaggio di Gesù e ad una sua attualizzazione: c’è stata allora fedeltà al messaggio?

Il Gesù dei sinottici parla molto diversamente del Gesù di Giovanni.

 

Capitolo 2: FASE DI RADICALIZZAZIONE

Fino al XVIII secolo il problema dell’autenticità storica dei vangeli non si poneva, l’unica preoccupazione, sin dai Padri, è quello di armonizzare le differenze storiche nei particolari che sarebbero solo apparenti (Diatessaron di Taziano; De consensu evangelistarum libri quattuor di Agostino; nel Medioevo il Monotessaron di Gerson, un vangelo sintesi dei quattro).

La critica inizia nel sec. XVIII negli ambienti razionalistici e del protestantesimo liberale.

 

REIMARUS (1694-1768) il cui manoscritto (4000 pagine) fu scoperto e pubblicato da Lessing dal 1774 al 1778. Gesù fu un messia politico che fallì, i discepoli delusi hanno inventato il Cristo e la sua resurrezione, così anche tutti i miracoli e il soprannaturale.

STRAUSS (1808-1874): Das Leben Jesu (La vita di Gesù) Gesù è un mito, cioè la rappresentazione storica dell’ideale religioso dei primi cristiani, c’è un qualcosa di storico che non è però raggiungibile, dunque non si può scrivere una vita di Gesù.

WEISS, HARNACK, RENAN e scuola liberale della Leben-jesu-Forschung (studio sulla vita di Gesù).

Vi sono fonti storiche: il vangelo di Marco e la fonte Q, si può scrivere a partire da esse una vita di Gesù liberandola dalle alterazioni del kerigma della chiesa primitiva e dei dogmi cristologici, così si coglie l’uomo Gesù (ma non il Dio).

ALBERT SCHWEITZER dimostrò che questo tentativo era destinato al fallimento, dato che i vangeli non intendono proporci una vita di Gesù,

nelle ricostruzioni fatte in passato la figura di Gesù era stranamente simile allo scrittore, al suo modo di pensare (Gesù illuminista, Gesù romantico etc.), la scuola liberale era condizionata dai suoi presupposti, inoltre si sbagliava nel considerare Marco e Q fonti storicamente pure.

KÄLER: “Il cosiddetto Gesù della storia e il Cristo della Bibbia” 1892. Abbiamo qui la distinzione che resterà celebre tra il Gesù della storia e il Cristo del kerigma, a quest’ultimo si deve prestare attenzione, al Cristo della predicazione, poco importa del Gesù storico di cui possiamo sapere assai poco.

 

BULTMANN E LA FORMGESCHICHTE


I vangeli esprimono la predicazione della chiesa, il kerigma, sappiamo dell’esistenza storica di Gesù, della sua morte sotto Ponzio Pilato, ma nulla della sua vita.

Per la fede cristiana interessa solo il kerigma, dunque non Gesù, ma la figura mitica del Figlio di Dio, il Cristo morto e risorto, così essa si basa sul kerigma e non sul Gesù della storia, così fece Paolo che costruì una teologia senza interessarsi alla storia di Gesù.

Per Bultmann Gesù non aveva coscienza di essere il Messia, ma ciò non ha nessuna importanza, poiché io lo riconosco tale attraverso un atto di fede, una decisione personale.

Il kerigma non si legittima attraverso uno studio storico, teologo e storico fanno mestieri diversi, la fede non va legittimata, per questo il Gesù storico non deve interessare il credente.

In Bultmann il mito è la rappresentazione umana di ciò che è divino, così il Nuovo Testamento è popolato di personaggi mitici, Cristo è preesistente, Figlio di Dio, risorto, fa i miracoli, il mito è elaborato sotto l’influsso dell’ellenismo, del giudaismo, dello gnosticismo.

Perché questi racconti siano comprensibili all’uomo d’oggi è necessaria la demitizzazione.  Che permette di cogliere ciò che nel kerigma si riferisce alla nostra esistenza e al nostro rapporto con Dio, Gesù ci ha fatto conoscere questo nostro destino di salvezza, ma non è lui il salvatore.

Allora il mito di morte e resurrezione sta ad indicare la condanna del mondo e la possibilità di una vita autentica di fede, se la morte è storica, la resurrezione non lo è, essa è il mito dell’annuncio della salvezza.

Gesù è lo strumento di tale annuncio.

 

Capitolo 3: PERIODO DI REAZIONE

Il mondo cattolico è invece rimasto fedele alla possibilità di raggiungere il Gesù della storia, il mondo protestante ha prima accolto, poi contestato le posizioni estreme di Bultmann.

JEREMIAS: per essere fedeli al kerigma è necessario risalire e conoscere le fonti, l’origine del cristianesimo non è il kerigma, ma il Gesù della storia, deve essere recuperato il tema dell’incarnazione che Bultmann non considerava. Per esempio è importante vedere se Gesù stesso ha interpretato la sua morte in senso salvifico-sacrificale o se ciò è solo frutto della chiesa primitiva, così anche per la resurrezione.

La demitizzazione di Bultmann è in realtà una destoricizzazione di Gesù, la cui persona non conta più niente.

KASEMANN (discepolo di Bultmann, “Il problema del Gesù storico” conferenza del 1953) rifiuta l’antitesi tra kerigma e storia per cercare una continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei vangeli. Bultmann rischia di trasformare Cristo in un mito, ad ideologia doceta, anche se si deve prendere la distanza dalla scuola liberale e dalle sue vite di Gesù.

Il Gesù terreno si capisce a partire dalla Pasqua, e la Pasqua a partire dal Gesù terreno.

Il Gesù terreno costituisce una cristologia implicita che l’evento pasquale e il kerigma hanno reso esplicita.

Però Jeremias (articolo del 1964) è stato troppo ottimista sulla possibilità di dire qualcosa sul Gesù della storia (per esempio con la tesi delle ipsissima verba) e nel fare dipendere la fede dal Gesù della storia.

Non è vero poi che Paolo e Giovanni non avrebbero avuto interesse per il Gesù della storia come affermava Bultmann il quale riducendo l’interesse per Gesù alla sua sola esistenza (il fatto, Dass puro e semplice del suo esistere) fa del cristianesimo una gnosi staccata dalla storia, quando invece il kerigma era già in sostanza, in germe contenuto nei detti e nei fatti di Gesù.

Tutti gli autori dei vangeli e del Nuovo Testamento si appoggiano e raccontano la storia di Gesù.

 

Capitolo 4: LA nuova ermeneutica

 

La novità deriva dal nuovo concetto di storia e di esistenza umana, si pensa che la comunità primitiva abbia mantenuto inalterati i logia e i racconti più importanti che Gesù fece e nei quali emerge il suo essere e il suo messaggio, gelosamente custoditi (parabole, antitesi del “ma io vi dico”, detti sul regno).

Partendo da questi dati, sulla base del metodo proprio della storiografia moderna, si può tornare a parlare del Gesù storico e di una storia di Gesù sia pure in maniera diversa dalla Leben-Jesu-Forschung della scuola liberale.

La scuola liberale parlava di Gesù, ma del Gesù uomo, negando perciò il kerigma, ora la dissociazione kerigma-Gesù storico è rifiutata proprio in nome di una storia di Gesù.

Tutto questo al fine di affermare che il senso dell’esistenza che il kerigma attribuisce al Cristo glorioso è quello che la storiografia dice del Gesù storico.

Si tratta di “trarre profitto dalle fonti in nostro possesso e dal metodo storico attuale in modo da penetrare fino in al motivo per cui Gesù ha agito, fino alla concezione che egli ha dell’esistenza, al fine di confrontarla con quella contenuta nel kerigma” (James M. Robinson) e così si può evidenziare come “la concezione dell’esistenza proposta da Gesù, così come la storia ce la fa conoscere, risulta fedele alla concezione dell’esistenza contenuta nel kerigma” (64).

L’importanza dell’indagine storica consiste allora nel fatto che essa ci aiuta a distinguere tra i vari kerigmi possibili: il Gesù della storia verifica il kerigma.

 

Schliermacher aveva contestato la convinzione che fosse possibile analizzare un testo e comprenderlo con la stessa sicurezza e precisione con la quale si analizza una sostanza chimica (illusione della scienza esatta interpretativa).

In realtà l’interpretazione di un testo non può prescindere da lettore, si deve poi risalire alle intenzioni dell’autore, così il testo non è più indipendente dall’evento della sua comprensione (cerchio ermeneutico).

Dithey (1833-1911) distingueva così tra scienze della natura e scienze dello spirito. Non esiste una obiettività storica assoluta data la parte attiva del soggetto lettore, qui non valgono le categorie delle scienza naturali.

Vi è poi la lettura esistenziale heideggeriana della storia che è un chiarire in che modo un uomo di un’altra epoca abbia inteso la sua esistenza e in che modo noi possiamo giungere a comprendere la nostra esistenza. Perciò ci si deve domandare di fronte ad  un testo quale senso esso dia all’esistenza. Di fronte ad un testo ogni lettore ha poi una sua pre-comprensione che nasce dalla propria esperienza di vita.

Nasce allora la possibilità di una interpretazione esistenziale della Scrittura che lo stesso Bultmann cercherà di fare.

Gli autori della Nuova Ermeneutica si rifanno soprattutto al secondo Heidegger e alle sue riflessioni sul linguaggio quale essenza stessa dell’uomo, espressione della voce silenziosa dell’essere, il linguaggio autentico nasce dall’incontro con l’essere, così il poeta è il creatore del linguaggio, il pastore del linguaggio.

Ma per Gadamer non si tratta nell’ermeneutica di capire l’autore, quanto di comprendere il testo che ha una sua vita autonoma dall’autore, il suo senso non è più quello datogli dall’autore, ma quello che dice nell’ora.

 

Nasce così la Nuova Ermeneutica (Fuchs, Ebeling, Braun, Robinson) che è ormai un nuovo sistema teologico concentrato “sulla decisione esistenziale e sulla comunicabilità della rivelazione all’uomo d’oggi” (73).

Sulla linea di Heidegger il linguaggio rende l’essere presente nel tempo, così il testo interpreta l’esistenza, il testo sacro giudica l’esistenza umana.

L’ermeneutico trasforma la parola statica e irrigidita del passato in una parola attuale che interpella di continuo, il testo più che informare, interpella.

Il testo religioso ha come evento originario la fede che deve essere riprodotta nella vita del lettore, e a ciò serve il testo, e solo la Parola di Dio ha la verità sull’uomo e lo può togliere da una vita di non-senso.

Il kerigma deve essere interpretato con l’aiuto del Gesù storico, specie quello delle parabole del Regno che costringono il lettore a prendere una decisione esistenziale.

Con Bultmann resta qui la demitizzazione dei miracoli e della resurrezione.

È però esagerato ridurre il linguaggio alla funzione di interpellare, i vangeli sono anche informazione su Gesù.

 

Capitolo 5: LA GENERAZIONE DEI TEOLOGI

 Pannenberg: la rivelazione parte dagli eventi della storia, Cristo è la chiave ermeneutica della storia come rivelazione di Dio, perciò lo si deve conoscere e gli scritti del Nuovo Testamento sono una fonte storica, Gesù non è il prodotto della fede.

Anche per Moltmann è decisivo il fatto che il kerigma si fondi sul Gesù storico.

Kasper (Gesù il Cristo Queriniana, 1975) parte con la storia e la vicenda si Gesù, contro Bultmann, così anche Küng in Essere cristiani è falsa l’alternativa kerigma o storia.

Anche per Schillebeeckx l’evento storico Gesù di Nazaret deve essere alla base del kerigma primitivo.

 

Capitolo 6: L’ESEGESI CATTOLICA

 

È il concetto di testimonianza che ora viene a variare, essa non è più solo il resoconto di chi ha visto perché testimone oculare, gli evangelisti mirano a trasmetterci il significati religioso di quei fatti significativi della vita di Gesù piuttosto che i fatti nudi e crudi.

Ci si presentano dunque tre livelli (cfr. La Dei Verbum).

Il primo è quello dell’evento: insegnamento, opere, vita di Gesù di Nazaret; il Sitz im Leben.

Il secondo livello è quello della comunità primitiva dopo la Pasqua, dove si svolge la predicazione apostolica (ambiente ebraico, greco e romano): alla luce della Pasqua si interpreta il passato (p. es. Giovanni approfondisce i sinottici) e vi sono anche via via nuovi problemi.

Il terzo livello è quello della redazione dei vangeli: Redaktionsgeschichte (prima eravamo nella Formgeschichte) con un adattamento in base ai destinatari e con il preciso fine di suscitare la fede in Gesù e non quella di raccontare un personaggio storico.

 

Capitolo 7: SPECIFICITA’ DEL GENERE LETTERARIO VANGELO

 

Vangelo come annuncio di buona notizia nasce praticamente con il Deuteroisaia in Is 52,7 (portatore di buone notizie), ma così anche Sl 96,2.10 (la buona novella della sua salvezza), poi c’è la proclamazione ai poveri di Is 61,1-11.

Nel Nuovo Testamento Gesù è il messaggero della buona novella, Paolo usa il termine 60 volte, per lui il vangelo è Cristo, dunque vi è un unico vangelo.

L’elaborazione letteraria del genere vangelo si deve a Marco (Mc 1,1), l’uso del termine vangelo per indicare i quattro scritti risale al II secolo (Marcione, Giustino, canone muratoriano seconda metà II secolo), il ritardo nella loro pubblicazione si deve alle condizioni e agli interessi della chiesa del tempo che ormai è diffusa fuori dalla Palestina dove Gesù non poteva essere conosciuto, inoltre il tempo passava e i testimoni oculari morivano.

La necessità di scrivere una storia di Gesù dopo aver scritto sul kerigma (lettere paoline) si motiva con il pericolo che si stava manifestando di dimenticare il Gesù storico e di far scadere il cristianesimo ad una gnosi, ad un messaggio troppo spiritualizzato, non ancorato alla storia.

 

Il genere letterario vangelo

Non è una biografia (p. es. genericità di tempo e di luoghi), è un racconto redatto per provocare una decisione, non solo per informare.

I vangelo raccolgono una letteratura passata, una tradizione, molte teologie, ripresentano però una schema già delle lettere (incarnazione, Battista, ministero di predicazione, esorcismi e guarigioni, passione morte e resurrezione, gloria) è l’annuncio di salvezza in una narrazione storica: narrazione e confessione (dimensione assente nella letteratura profana).

 

Capitolo 8: NATURA E LEGGI DELLA STORIA E CONDIZIONE DELLO STORICO

 

La memoria delle cose passate non è solo un ricordare, ma un segnalare la propria identità.

Il criterio positivistico delle fonti pure (Ludwig von Ranke 1795-1886, Theodor Momsen 1817-1903) svaluta la storicità del vangelo le cui fonti sarebbero contaminate dalla fede.

Qui si considera la storia come un oggetto, come un dato e la storia è pura registrazione di fatti, una fotografia, la storiografia è una scienza come la matematica. La verità è invece che ogni fatto raccontato è sempre interpretato (anche la scienza fisica oggi è una interpretazione della realtà), parte sempre da un preciso punto di vista, con un fattore emotivo.

Così lo storico deve ricreare l’intenzionalità del fatto storico, a partire dall’azione risalire all’intenzione del soggetto, per fare ciò si richiede una affinità con l’evento, immedesimarsi con l’altro, ma anche esserne staccati. Essere contemporanei all’autore dei fatti, in questo senso i vangeli sono opera storica.

La distanza nel tempo apre una storia delle interpretazioni che va del fatto una qualcosa di vissuto e sempre da approfondire e capire.

 

Così i vangeli presentano sì il fatto, ma l’accompagnano con il suo significato, la morte di Gesù ha in sé il suo significato oblativo.

Nei vangeli l’avvenimento, poi, interpella, chiama alla conversione, questo è l’intento di Gesù che lo storico deve far emergere dai vangeli (Nuova Ermeneutica).

Lo storico che studia i vangeli è allora avvantaggiato se credente perché si trova subito situato in empatia con gli evangelisti (lo storico si valuta se rispetta tecniche e metodi della disciplina).

Egli deve ripercorrere a partire dal testo attuale dei vangeli tutte le tappe che hanno portato alla loro formazione, dopo la critica letteraria si può passare alla critica storica.

 

Capitolo 9: IL CONTRIBUTO DELLA CRITICA ESTERNA

L’affermazione sugli autori dei vangeli è del II secolo (Papia, canone muratoriano, Ireneo parlano di Marco e Luca) era qui importante fare risalire i testi all’autorità apostolica e collegare Marco a Pietro e Luca a Paolo.

L’autore viene individuato con una persona per dare autorità (testimoni oculari), ma le cose sono più complesse, i redattori finali non erano testimoni oculari, ma elaborano testi provenienti da chi aveva visto, cui aggiungono la propria sensibilità quali scrittori veri.

Nella chiesa antica tutti i vangeli hanno un’autorità incontestata: si conservano i testi, si usano nella liturgia, ai vangeli ci si rifà nelle discussioni agli eretici, si è convinti che attraverso i vangeli si arrivi a Cristo (testimonianze di Papia, Ireneo, Tertulliano, Origene, Eusebio di Cesarea pgg. 160-161).

Dalla metà del secondo secolo i vangeli sono quattro, si vince la tentazione suggestiva dei testi apocrifi: si tratta di un vangelo quadriforme (Ireneo).

 

Capitolo 10: LA MEDIAZIONE DELLA CHIESA PRIMITIVA E IL PROGETTO DELLA SCUOLA DELLE FORME

Scuola della forme, Formgeschichte (1919-1922): Schmidt, Dibelius, Bultmann, Bertram, Albertz: studia la prima tappa della redazione evangelica, cioè il succedersi di forme successive e l’origine di tutto.

Per la Formgeschichte la comunità primitiva è responsabile di tutto il processo di formazione della tradizione evangelica.

Si parte dalla prima tradizione orale (Dibelius: “in principio era il kerigma”) nella catechesi, nel culto, nella missione, nella polemica.

Si afferma l’inconsistenza dei particolari di tempo e di luogo che quasi sempre non sono storici, ma redazionali (crolla il tentativo biografico della scuola liberale).

Si riconoscono nei vangeli vari generi letterali, si dà grande rilievo all’ambiente sociale e religioso, all’influsso della comunità (più che all’impronta dell’autore redazionale).

In negativo tutta l’attenzione è rivolta a delineare la comunità primitiva piuttosto che Gesù che, per Bultmann, è inconoscibile.

Tale comunità si sarebbe trovata nella condizione di elaborare un kerigma dai dubbi riferimenti storici, ma allora non si è voluto tener conto dei discepoli, dei testimoni, quasi fossero tutti morti!

Sì allora all’influenza della comunità, ma no ad un ipotesi di sua creatività, i criteri letterari nel definire mito e leggenda vengono facilmente ritenuti criteri storici (demitizzazione etc.).

 

Capitolo 11: GESÙ E I SUOI DISCEPOLI CIOE’ LA COMUNITA’ PREPASQUALE

È la questione del rapporto tra comunità prepasquale e comunità postpasquale, di una continuità di tradizione tra di loro.

Una continuità è almeno assicurata dai discepoli che facevano parte delle due comunità, decisiva è però la questione della fede, se cioè la fede in Gesù è postpasquale (Bultmann) o prepasquale, ma in realtà seguire il Gesù prepasquale manifesta già una convinzione di fede in lui, certo completata poi dopo Pasqua e Pentecoste.

Dunque la Formgeschichte che non considerava la comunità prepasquale faceva una scelta di fondo ingiustificata, se invece c’è continuità di tradizione tra le due comunità si può risalire dalla seconda alla prima e da questa al Gesù storico.

Si può poi elaborare un Sitz im Leben interno alla comunità prepasquale che Gesù volle costituire scegliendo i discepoli e mettendoli a parte.

Questi uomini hanno seguito Gesù e ne hanno conservato il ricordo e la parola, anche quando era enigmatica (detti sulla morte non dunque inventati dalla comunità postpasquali la quale non li avrebbe espressi in forma enigmatica e non compresa dagli apostoli).

Gesù aveva poi preparato i discepoli ad una attività missionaria già nella fase prepasquale. Questa attività missionaria diventa un Sitz im Leben esterno importante per cogliere l’origine della tradizione evangelica, molti brani del vangelo si capiscono meglio ipotizzando una loro origine prepasquale.

Gesù allora annunciava per preparare i discepoli alla missione, essi imparavano a memoria e predicavano anche attualizzando.

Diversi logia hanno origini nella vita di comunità tra Gesù e i discepoli (come la radicalità nel seguire Gesù, la vita di servizio tra fratelli).

 

Capitolo 12: LINGUAGGIO E ATTEGGIAMENTI DELL’AMBIENTE ECCLESIALE PRIMITIVO (I)

Il Sitz im Leben interno consente anche di risalire all’aspetto psicologico, interiore della comunità prepasquale, il suo reagire spontaneo alla predicazione di Gesù.

Si possono allora registrare i vocaboli più usati partendo dagli Atti e dalle lettere paoline ciò condurrà a meglio comprendere la comunità prepasquale, ciò perché la vita della giovane chiesa era in fedeltà con tale comunità.

La paradosis o tradizione

È presente nelle lettere di Paolo dove più volte afferma di trasmettere ciò che ha ricevuto con totale fedeltà, dunque non si crea, ma si trasmette e questa trasmissione ha origine nel Gesù storico.

Come poi i rabbini istruivano i discepoli e facevano loro imparare a memoria la legge affinché nulla di essa vada perduta, così deve aver fatto Gesù con i suoi discepoli gelosi nel conservane i logia del maestro (è la tesi di B. Gerhardsonn della scuola di Uppsala, tesi forse eccessiva nel parallelismo e ottimistica nella possibilità di risalire alle ipsissima verba) abili nell’interpretare la scrittura rifacendosi a quanto Gesù aveva insegnato e a rispondere in base all’insegnamento di Gesù alle questioni pratiche della comunità.

In questa fase sono possibile divergenze nei particolari tra i discepoli.

Qui Gerhardsonn sottovaluta però la libertà della chiesa nell’esporre e attualizzare gli insegnamenti di Gesù, in realtà ci troviamo di fronte ad una originale duplice dinamismo di tradizione: un conservare ed un attualizzare-approfondire.

 

Capitolo 13: LINGUAGGIO E ATTEGGIAMENTI DELL’AMBIENTE ECCLESIALE PRIMITIVO (II)

Testimone e testimonianza

Gli apostoli sono prima di tutto dei testimoni coraggiosi, essi hanno narrato, ma hanno anche confessato la loro fede.

 

Il titolo di apostolo

Apostolo significa delegato, ambasciatore che svolge una missione quale plenipotenziario rendendo presente chi lo ha inviato.

Gli apostoli sono i testimoni qualificati, il termine nasce ad Antiochia per indicare gli itineranti in missione, nei vangeli sarebbe stato unita all’uso di parlare dei dodici al tempo di Gesù, essi sono così diventati i dodici apostoli.

 

Servitore (diakonos) e servizio della Parola

In Paolo i diaconi sono i collaboratori degli apostoli, ma gli apostoli stessi sono diaconi di Cristo (2Cor.11,23).

In Paolo diaconia è il ministero della Parola, secondariamente il servizio materiale, essa è il compito principale degli apostoli.

 

Insegnare, predicare, evangelizzare, vangelo

Sono termini che non riguardano solo gli apostoli, ma tutti i predicatori, cuore di questo annuncio è la buona novella: “Gesù Figlio di Dio morto e risorto”.

Questi vocaboli esprimono la tensione e il dovere fatto proprio dalle prime comunità cristiane, un qualcosa di importante vissuto all’insegna della fedeltà a Cristo !

Da qui la continuità di tradizione tra Cristo e la chiesa.

 

Capitolo 14: LA MEDIAZIONE DEGLI EVANGELISTI E IL CONTRIBUTO DELLA REDAKTIONSGESCHICHTE

È tempo ora di considerare il ruolo dell’evangelista nello scritto del vangelo (cosa che la Formgeschichte riduceva al minimo).

L’espressione Redaktionsgeschichte si trova nell’opera su Marco di W. Marxsen mette a tema la parte dell’evangelista nella stesura finale dell’opera, in questo senso la Redaktionsgeschichte completa la Formgeschichte.

La Redaktionsgeschichte si sviluppa soprattutto dal 1945 (già Günther Bornkamm 1948 e 1954) soprattutto con l’opera di Conzelmann su Luca (Die Mitte der Zeit, 1954).

Qui Luca appare come un teologo, non come uno storico.

Studio su Marco di Willi Marxsen (Der Evangelist Markus, 1956): gli evangelisti sono autori veri e propri, non solo semplici compilatori.

Così anche l’opera di W. Trilling su Matteo (Das wahre Israel, 1959).

Così accanto alla mediazione della predicazione della chiesa primitiva (Formgeschichte) abbiamo anche la mediazione dell’opera degli evangelisti (Redaktionsgeschichte, riferita soprattutto ai sinottico), ma allora ci vuole più ermeneutica e il Gesù storico sembra allontanarsi.

Gli evangelisti hanno comunque scelto tra del materiale tramandato in base alla loro logica teologica e al loro intendimento pratico, da qui le differenze.

L’opera redazionale è costituita da correzioni stilistiche della fonte testuale, precisazioni, omissioni, adattamento di una metafora, trasposizioni di pericopi, trasposizioni all’interno della stessa pericope, , riduzioni di due momenti della narrazione ad uno solo, aggiunta di un logion erratico (esempi a p. 234), inserzione di un logion tradizionale (esempi a pp. 234-235), aggiunta di un racconto che proviene da un’altra tradizione, abbreviazione del documento-fonte (Luca e Matteo abbreviano a volte Marco loro fonte), uso delle anadiplosi (ripetizioni retoriche), legamento di pericopi isolate (Matteo e Luca lo fanno, Marco no), i sommari (che sono composizione propria dell’evangelista), le indicazioni geografiche (di valore teologico, la montagna di Matteo che descrive Gesù come nuovo Mosè, è in Luca un ripiano), riferimenti all’Antico Testamento, drammatizzazione di una scena (certi episodi sono più descritti in alcuni evangelisti), interpretazione teologica della tradizione (alcune sottolineature personali di vari episodi), aggiunta di un logion con valore redazionale e teologico.

Resta il problema che la Redaktionsgeschichte finisce per porre una separazione tra l’evangelista e Gesù (come la Formgeschichte faceva tra la chiesa e Gesù) ritenendo la preoccupazione teologica l’unica dominate nell’evangelista, è così necessaria una maggiore attenzione anche all’aspetto storico di Gesù.

 

Capitolo 15: CRITERI DI AUTENTICITA’ STORICA DEI VANGELI

 Dalla critica letteraria si passa ora alla critica storica, si deve cioè dimostrare che quei testi originali furono propriamente attribuibili a Gesù.

Lo studio dei criteri di storicità risale a Käsemann 1954, ne sono stati elaborati poi una quindicina, ma non da tutti accettati.

CRITERIO DI ATTESTAZIONE MULTIPLA: è storico un fatto attestato da tutte le fonti degli scritti evangelici e del Nuovo Testamento (misericordia di Gesù verso i peccatori).

Qui il problema consiste nello stabilire l’indipendenza delle fonti, difficile da stabilire a motivo della tradizione orale, molte attestazioni potrebbero derivare infatti da un’unica fonte.

 

CRITERIO DI DISCONTINUITA’: è autentico un dato evangelico non riconducibile né al giudaismo, né alla chiesa primitiva (l’Abbà, Gesù di fronte alla Legge, il concetto di Regno, battesimo, Gesù che chiama i discepoli, i difetti degli apostoli etc.).

Però da solo questo criterio rischierebbe di eliminare tutto ciò che è invece conforme al giudaismo e alla chiesa.

 

CRITERIO DI CONFORMITA’: continuità con l’ambiente giudaico, culturale e geografico, ma anche continuità e coerenza di un episodio con tutto il messaggio di Gesù (p. es. la venuta del Regno), caso classico sono qui le parabole, le beatitudini, il Padre Nostro, i miracoli, le tentazioni di Gesù.

 

CRITERIO DI SPIEGAZIONE NECESSARIA: se di fronte ad un insieme considerevole di dati che esigono spiegazione, si offre una spiegazione che illumini tutti gli elementi, allora il dato è storico (l’entusiasmo per Gesù della folla, l’odio delle autorità ebraiche).

Tanti fatti di Gesù si spiegano se lui era Dio, la testimonianza compatta della chiesa primitiva sulla messianicità e divinità di Cristo presuppone che la cosa sua nata prima e che quindi risalga alla predicazione di Gesù il quale allora aveva la coscienza del suo essere.

 

CRITERIO DI SECONDO ORDINE O DERIVATO: lo stile di Gesù: riguarda la coerenza ad uno stile di vita che fu proprio di Gesù Cristo (parlare aramaico, stile solenne ed autoritario, modo di pensare, il comportamento) è criterio derivato in quanto si rifà agli altri criteri.

 

Attraverso questi criteri quasi tutto il materiale evangelico viene recuperato (vedi pp.268-269).

 

Capitolo 16: CONCLUSIONE BILANCIO DI UNO STUDIO

 Ripresa in sintesi di tutto il cammino del libro.

fonte: www.qumran2.net 


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