PLINIO IL GIOVANE

Gaio Plinio
Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane, (61-113 d.C.),
nipote di Plinio il Vecchio (zio materno) nel 111 fu nominato
dall’imperatore Traiano legatus in Bitinia. L’opera nella
quale parla di Cristo è la raccolta di 10 Epistole. È nella
decima Epistola (X,96), inviata all’imperatore Traiano, che
Plinio chiede direttive su come comportarsi con i Cristiani.
Scrupoloso e devoto com’era verso Traiano, gli chiese consigli
sul da farsi e gli sottopose una serie di questioni, dinanzi
alle quali il principe dovette forse anche provare un certo
fastidio.
Ecco il testo
della Epistola X che Plinio scrive all’imperatore:
“Ho per massima, o signore, di riferirti le cose tutte delle
quali sono dubbioso. Poiché chi può meglio guidarmi nel dubbio o
illuminare la mia ignoranza? Io non ho mai preso parte a
processi contro i Cristiani, e perciò ignoro quale colpa e sin
dove si soglia punire o inquisire.
Sono rimasto non
poco esitante se bisognasse avere riguardo dell’età degli
accusati, o nessuna differenza bisognasse fare tra i giovinetti
e adulti; se si debba dare il perdono alla ritrattazione, o se,
a chi è stato sicuramente Cristiano, nulla giovi l’aver cessato
di essere Cristiano; se meriti punizione la sola professione di
fede cristiana, anche se manchino i delitti oppure i delitti
inerenti a quella professione. Intanto così mi sono regolato con
quelli, che mi venivano denunziati come Cristiani.
Ai confessi feci
due o tre volte la stessa domanda, sotto la minaccia della pena
capitale: e ho mandato a morte gli ostinati. Poiché io non
dubitavo, quale che fosse quel che confessavano, doversi certo
punire una caparbietà ed una ostinazione inflessibile. Altri
folli, poiché erano cittadini romani, li ho annotati perché
siano rinviati a Roma. Quindi, come suol succedere, per il fatto
stesso che si era iniziato un procedimento giudiziario,
cresciute le accuse, occorsero parecchi altri casi.
Mi fu messa innanzi
una denuncia anonima, contenente molti nomi. Quelli che negavano
di essere o di essere stati Cristiani, dopo che sulla formula da
me pronunciata invocarono gli dèi e tributarono incenso e vino
alla tua immagine che per tal prova avevo fatto recare coi
simulacri dei nomi, ed inoltre maledissero Cristo, a
nessuno dei quali atti si dice possano essere costretti quelli
che sono veramente Cristiani, mi parve di doverli assolvere.
Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere Cristiani, e
poi lo negarono; lo erano, sì, stati, dicevano, ma non lo erano
più, chi da tre, chi da molti, e chi finanche da venti anni.
Anche questi venerarono la tua immagine e i simulacri dei numi,
e maledissero Cristo.
Affermavano poi che
la loro colpa o il loro errore consisteva nella consuetudine di
adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole, e
cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di
Cristo, come a un dio, e di obbligarsi con giuramento non a
compiere male azioni, ma a non rubare, a non ammazzare, a non
commettere adulteri, a non tradire la parola data, a non
rifiutare se richiesti di restituire il deposito; compiuto
questo rito, era loro costume di sciogliersi, poi di adunarsi
ancora ad un banchetto, comune ed innocuo, e che anche ciò
avevano smesso di fare dopo il mio editto, con il quale, secondo
i tuoi ordini, avevo vietato i sodalizi. Per cui mi parve ben
necessario di accertarmi della verità interrogando due schiave
addette al culto cristiano, anche mediante la tortura. Ma trovai
solo stramba e smodata superstizione; e, perciò, sospesa
l’inchiesta, decisi di consultarti.
Mi parve degna di
interpellanza la cosa, soprattutto pel gran numero di accusati.
Chè in ogni età, in ogni classe, ed anche in ambo i sessi vi
sono molti citati, o che possono essere citati in giudizio. Non
solo per le città, ma per le borgate e le campagne si è diffuso
il contagio di codesta superstizione; la quale pare si possa
fermare e correggere. E certo si vede bene che hanno
ricominciato ad essere frequentati i templi già quasi deserti, a
essere riprese le solennità sacre da gran tempo interrotte, e a
vendersi il pasto delle vittime, che non trovava quasi più
compratori. Dal che è facile prevedere quanta gente si può far
ravvedere, se è dato campo al pentimento”
Ed
ecco la risposta di Traiano: brevi ma precise istruzioni, che
lasciano trasparire la chiara volontà del principe e la
preoccupazione per la dignità del suo regno. Non è da escludere
un atteggiamento, per dir così, sbrigativo e liquidatorio di
Traiano nei confronti della meticolosa scrupolosità di Plinio:
“Traiano
saluta Plinio. Ti sei comportato come dovevi, o mio Secondo,
nell’istituire i processi di coloro che ti furono denunziati
come Cristiani. Non è possibile infatti stabilire una norma
generale e, per così dire, con un principio fisso. Non è
necessario andarli a cercare; quando vengano denunziati e
confessino, siano puniti; resti fermo tuttavia che chi neghi
d’esser cristiano e lo provi con i fatti, adorando cioè i nostri
dèi, ottenga per tal abiura il perdono, anche se per l’addietro
fosse sospettato. Quanto poi alle denunce anonime, esse non
devono avere alcun peso per nessuna accusa. Giacchè ciò è di
pessimo esempio e d indegno dei nostri tempi.
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