Celso
Celso, filosofo del II secolo d.C. , scrisse un’opera
contro i Cristiani dal titolo Discorso veritiero.
Non ci è pervenuta quest’opera, ma sappiamo della sua
esistenza e conosciamo alcune sue parti grazie al testo di
Origene Contra Celsum, scritto intorno nel 248 d.C.,
dove lo scrittore cristiano confuta le argomentazioni di Celso.
Celso riporta i seguenti giudizi che attinse dai pregiudizi
giudei contro i cristiani e contro Gesù Cristo.
“Essendo la sua famiglia povera, Gesù fu mandato in Egitto a
cercare lavoro; e quando arrivò lì, egli acquisì certi poteri
magici che gli egizi si vantavano di possedere; quindi ritornato
fiero per i poteri che acquisì, per tali poteri si proclamò Dio
da se stesso. “ (Contra Celsum, I, 32)
“Gesù si
circondò di 10 o 11 uomini scellerati, i peggiori dei pubblicani
e dei pescatori; e con questi se ne andava di qua e di là, in
modo vergognoso e meschinamente raccoglieva provviste” (Contra
Celsum, I,62)
Riportiamo il commento all’opera di Celso che ne fa Giuseppe
Ricciotti nella sua Vita di Gesù Cristo (par. 195).
Celso, poco prima del 180, pubblicò il suo Discorso veritiero,
con cui assale in minor parte Gesù e in maggior parte i
cristiani. Egli tiene a far rilevare che in precedenza si è
informato bene del suo argomento, giacché ripete fiduciosamente
rivolto ai cristiani: “Io so tutto (sul conto vostro)!”; ha
infatti letto i vangeli, e li cita nel suo discorso
attribuendoli regolarmente ai discepoli di Gesù. Ciò nonostante
egli accetta dai vangeli solo i fatti che corrispondono alle sue
mire polemiche, quali le debolezze della natura umana di Gesù,
il lamento della sua agonia, la sua morte in croce, ecc., che
sarebbero a parer suo tutte cose indecorose per un Dio: invece
sostituisce gli altri dati biografici con le sconce calunnie
anticristiane messe in giro già allora dai Giudei; spesso poi
altera l'indole dei fatti, talvolta deforma anche le parole
delle citazioni, e in genere sparge a piene mani il ridicolo
sull'odiato argomento con un metodo che anticipa sotto vari
aspetti quello di Voltaire. Ma queste ragioni storiche sono, in
realtà, solo sussidiarie, e il vero argomento fondamentale è
filosofico: Celso, che mira a rinsaldare l'unità politica
dell'Impero romano di fronte alla minaccia dei Barbari, giudica
indiscutibilmente assurda l'idea di un Dio fattosi uomo, e
quindi erronea la storia evangelica; perciò i cristiani, se
vorranno essere ragionevoli, dovranno abbandonare tali assurdità
e ritornare ai tradizionali dei dell'Impero. Porfirio, il
discepolo del neoplatonico Plotino, è molto più sodo di Celso.
Nei suoi 15 libri Contro i cristiani, apparsi sullo scorcio del
secolo III, egli conserva un tono più moderato (a quanto
possiamo raccogliere dai frammenti), e si dà tutto a rilevare le
contraddizioni o inverosimiglianze storiche ch'egli trova nei
vangeli; ma anche qui, come in Celso, l'obiezione più forte è
sollevata in nome dei principii filosofici: “Può patire un Dio?
Può risuscitare un morto?”. La risposta negativa che
evidentemente bisogna dare a tali domande, secondo Porfirio,
decide anche di tutta la questione; qualunque interpretazione
dei racconti evangelici sarà preferibile a quella che ammetta
il patimento di un Dio o la resurrezione di un morto. Quando
l'impero diventò ufficialmente cristiano, non solo non
comparvero più nuovi scritti contro l'autorità storica dei
vangeli, ma disparvero anche quelli già pubblicati: ad esempio,
i libri di Porfino Contro i cristiani. furono ufficialmente
proscritti per decreto della corte di Bisanzio nel 448.
Seguitarono tuttavia a circolare, scritte in ebraico o trasmesse
oralmente, le sconce calunnie giudaiche di cui già si era
servito Celso, e che più tardi confluirono nel libello Toledòth
Jeshua.
|