Siamo abituati a pensare all’episodio della natività di Gesù,
immaginando Maria e Giuseppe che qualche ora prima del parto,
vanno chiedendo di porta in porta una stanza per loro. A quali
porte bussano? A quelle degli alberghi presenti a Betlemme, al
caravan serraglio in quel villaggio? … o al limite, dato che
Betlemme era un piccolissimo centro, magari a qualche albergo
della vicina città Gerusalemme che distava pochi chilometri.
“lo
avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché
non c'era posto per loro nell' albergo” (Lc 2,7).
Certo
è anche difficile pensare che Giuseppe si sia messo a viaggiare
con Maria proprio alcuni giorni prima del parto, tenendo anche
conto del lungo viaggio da Nazaret a Betlemme (circa 150 km) e
per di più probabilmente a dorso di asino o cavallo, unici mezzi
di locomozione dell’epoca, e soprattutto con i pericoli che
presentavano i viaggi a quel tempo. Questo fatto ha sempre
creato qualche perplessità…
In
quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse
il censimento di tutta la terra. […] Anche
Giuseppe
salì in
Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi
registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta” (Lc 2)
Per la
registrazione in occasione del censimento era richiesta la
presenza del capofamiglia e quindi non era necessario che Maria
andasse anche lei a Betlemme. Quindi , perché Giuseppe avrebbe
procurato tutti questi enormi disagi a Maria facendole
affrontare un viaggio così lungo e faticoso?
Giuseppe
inoltre era originario di Betlemme, quindi doveva pur avere dei
parenti in questo villaggio; possibile che nessuno di questi
suoi conoscenti offrisse ospitalità a questa coppia in tali
condizioni, considerando anche il fatto che per i popoli
orientali l’ospitalità era (ed è) un dovere sacro?
Quindi
qualcosa sembra che non sia al posto giusto in tutta questa
vicenda. Come vedremo fra poco, tutto il problema sta in un
parolina greca Katalyma in Lc. 2,7, che
traducendola con ‘albergo’, fa pensare che Maria e
Giuseppe siano arrivati da qualche ora a Betlemme e, non
trovando alloggio negli alberghi, si accontentano di un posto di
fortuna: una grotta.
Prima di
arrivare alla questione della katalyma, ipotizziamo
(ragionevolmente) che Giuseppe e Maria si trovassero a Betlemme
molto tempo prima del periodo del parto, e quindi dovevano
alloggiare in qualche abitazione di un parente di Giuseppe.
Infatti, nell’episodio dei Magi che fanno visita a Gesù, Matteo
parla senza dubbio di una vera e propria casa: “Entrati
nella casa
(oikian),
videro il bambino con Maria sua madre”.
(Mt. 2,11) . Come detto prima, se
Giuseppe era originario di Betlemme, egli doveva avere dei
parenti in questo villaggio, i quali certamente hanno dato
alloggio ai due sposi. Del resto al v.6
il testo di Luca sembra esprimere che già si trovavano lì da
qualche tempo: ”Ora,
mentre si trovavano
in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto”.
Per arrivare
a chiarire tutta la vicenda, dobbiamo soffermarci un attimo a
descrivere le case di un villaggio giudeo dell’epoca, e in
particolare quelle di Betlemme, dove sono tutt’oggi visibili
numerose grotte. Le case dell’epoca erano costituite da una
stanza centrale dove praticamente si svolgeva tutta la vita
della famiglia: qui si mangiava e si dormiva sopra delle stuoie,
vi erano armadi, sedie, giare per l’acqua, etc. Le case di
Betlemme erano certamente formate da quest’unica stanza, un
unico ambiente anche perché si trattava di case di semplici
pastori e contadini. Oltre a questo ambiente principale, però,
vi era accanto un’altra stanza più piccola che poteva
essere usata come deposito o, per l’occasione, come camera per
gli ospiti. Tale stanza veniva inoltre usata quando c’era
qualche donna della casa che doveva partorire. Per la legge
ebraica, una donna che partoriva, a motivo delle perdite di
sangue, rimaneva impura per 40 giorni se partoriva un maschio,
oppure 80 giorni se nasceva una femmina. Non solo la donna era
impura, ma anche tutti gli oggetti che toccava e il luogo dove
si trovava contraevano l’impurità. E diventava impuro anche
chiunque toccasse quella donna. Per evitare ciò, la donna doveva
rimanere isolata per tutto il tempo dell’impurità, cioè fino a
quando non veniva compiuto, al termine del tempo prescritto, il
rito di purificazione.
"Quando venne il
tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè,
portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore"
(Luca 2,22)
Quindi, essa
doveva essere isolata in questa stanza secondaria delle case per
tutto questo tempo. Oltre alla stanza principale e alla
stanza secondaria utilizzata come deposito, chiaramente
vi era qualche luogo vicino la casa adibito a stalla. A
Betlemme, questi luoghi erano sicuramente le grotte che vi si
trovano ancora oggi.
Dopo aver
dato una descrizione delle case del tempo e che ci tornerà utile
fra un pò, torniamo per un attimo al secondo capitolo del
Vangelo di Matteo accennato prima.
Mt
2,21-23
Egli,
alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel
paese d'Israele. Avendo però saputo che era re della
Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di
andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della
Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata
Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai
profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Da questo
passo matteano sembra che, di ritorno dall’Egitto dove si era
rifugiato, Giuseppe stranamente vuole entrare in Giudea (Mt.
2,22) e non si dirige subito in Galilea, cioè a Nazaret dove
abitavano con Maria. Perché? Possiamo ipotizzare che Giuseppe
aveva deciso di stabilirsi a Betlemme, cioè in Giudea, dove
certamente, come abbiamo detto prima, egli aveva dei parenti e
forse lo aveva deciso ancor prima del parto di Maria.
Scrive G.
Ricciotti: “Potè essere che i due coniugi pensassero di
trasferirsi stabilmente nel luogo originario del casato di
David: poiché l’angelo aveva annunziato che Dio avrebbe dato al
nascituro il trono di David padre suo, quale pensiero più
naturale che far ritorno alla patria di David per aspettare ivi
l’attuazione dei misteriosi disegni divini?” (G. Ricciotti,
Vita di Gesù Cristo, par. 241)
Quindi
probabilmente Giuseppe voleva stabilirsi a Betlemme sia per il
motivo della profezia, sia perché molto verosimilmente aveva dei
parenti in questa cittadina dove aveva le sue origini familiari,
e di conseguenza aveva certamente trovato alloggio in una casa
di questi loro parenti betlemiti al momento della nascita di
Gesù.
Ed ecco qui
che diventa chiarificatrice, allora, la parolina alla quale
accennavo prima, katalyma.
che non dovremmo intenderla
nel senso di “albergo”…
Il termine
greco katalyma. può significare infatti anche
stanza (alcuni dizionari come primo
significato mettono proprio stanza e solo come
significato secondario locanda/albergo ). Quindi
Lc 2,7 lo possiamo tradurre : lo avvolse in fasce e lo
depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nella
stanza; ma di quale stanza si parla? Si tratta
di quella stanza secondaria che si trovava in ogni casa e che
come abbiamo detto sopra era adibita a deposito o a luogo
dove potesse partorire qualche donna della casa , e che per
motivi di impurità doveva rimanere isolata.
Anche la
traduzione CEI del 2008 ha cambiato la vecchia traduzione “albergo”
con “alloggio”, che sembra voler indicare che non si
trattava, appunto, di un albergo.
Quindi è
possibile pensare che Giuseppe e Maria abitassero da qualche
mese a Betlemme in una casa (di loro proprietà o presso qualche
parente di Giuseppe), ed essendo la casa probabilmente piena di
ospiti (parenti della famiglia di Giuseppe) a motivo del
censimento che stava svolgendosi, anche la katalyma, la
stanza della casa dove doveva partorire Maria era occupata e
quindi Giuseppe, per fare in modo che tutto avvenisse nella
discrezione a motivo del Mistero che custodivano, abbia portato
Maria nella grotta utilizzata per gli animali e lì potesse
partorire in tranquillità, in modo da non disturbare gli altri
parenti e non creare loro disagio. Ricordiamo, infatti, come
abbiamo detto precedentemente, che la donna doveva stare in
quella stanza per tutto il tempo dell’impurità (40 giorni) e
nessuno poteva entrare nella stanza, quindi gli ipotetici
parenti che erano ospitati nella katalyma non avrebbero
potuto entrarvi ed alloggiare per tutto questo tempo. Inoltre
Luca precisa che per loro non c’era posto nella
stanza, proprio a voler sottolineare la questione
dell’impurità.
E se quindi
le cose stanno così, ci accorgiamo allora che il quadro sembra
più chiaro…
Ma tornando
alla nostra katalyma si spiega anche il motivo perché
Matteo dice “Entrati nella
casa
(oikian),
videro il bambino con Maria sua madre”.
(Mt. 2,11), in quanto anche se erano
nella grotta, però si trattava sempre di una grotta-stalla
collegata alla casa, così come ci conferma l’archeologia a
proposito della grotta di Betlemme che la tradizione fa risalire
come quella in cui nacque Gesù e dove oggi sorge una grande
basilica.
C’è qualche
indizio che il termine katalyma lo possiamo tradurre con
stanza anziché con albergo? Certo, proprio nel testo di
Luca abbiamo la prova che per katalyma questo
evangelista intende stanza e non albergo/locanda.
Infatti in Lc 22,11 si legge:
e
direte al padrone di casa:
Il Maestro ti dice: Dov'è la
stanza
(katalyma)
in cui
posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli ?
Mentre
quando parla di albergo/locanda Luca usa il termine
pandocheion ; infatti in Lc 10,34 leggiamo: lo
portò a una locanda ( pandocheion
) e si prese cura di lui.
Se in Lc 2,7 avesse voluto
parlare di albergo/locanda avrebbe utilizzato quindi
pandochieon.
Quindi da questa ipotesi di lavoro che fin qui esposta cosa
possiamo concludere? Il tutto conferma in fondo che volendo
essere più aderenti e attenti al testo originale del vangelo e
tenendo conto dei dati che ci provengono dagli studi
sull’ambiente giudaico del tempo, si spiegano tante cose, e in
questo caso forse si è resa un po’ di chiarezza a quel momento
particolare che fu la vicenda della nascita di Gesù.
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