C'è il vero
Gesù nei vangeli aramaici
di Antonio
Socci
Mentre Diario tenta di usare per
rozza propaganda anticlericale gli eventi che stanno all’origine
del cristianesimo, tutti i nuovi studi e le ricerche
(archeologiche, linguistiche, documentarie) concordano nel
mostrare la storicità e l’attendibilità dei fatti riferiti nei
Vangeli.
E’ pieno di affascinanti scoperte anche il volume, fresco di
stampa, di Josè Miguel Garcia La vita di Gesù nel testo
aramaico dei Vangeli (Rizzoli, pp. 246, e 9.50).
Già l’erudito francese Jean Carmignac scoprì che lo strano e a
volte oscuro greco dei Vangeli era in realtà la traduzione di un
testo originario in lingua semitica. In base a ciò Carmignac
poté ridatare i vangeli agli anni a ridosso degli avvenimenti di
Gesù, quando erano ancora viventi tutti i testimoni, e non -
come voleva la moderna critica - a un’epoca molto posteriore.
J. M. Garcia – riportando alla luce il testo aramaico che sta
sotto il greco - ha scoperto addirittura che in due passi della
seconda lettera ai Corinzi, scritta prima dell’autunno del 57
d.C., san Paolo parla di un Vangelo già scritto e circolante fra
le comunità.
In sostanza i cristiani annunciavano a tutta Gerusalemme la
resurrezione di Gesù di Nazaret quando i protagonisti di quel
processo e della sua condanna erano ancora vivi e avrebbero
potuto sbugiardarli indicando la tomba e il cadavere. Non lo
potevano fare perché quell’uomo era risorto.
Il biblista e teologo J. M. Garcia fa parte della cosiddetta
“Scuola di Madrid”, nata da D. Mariano Herranz Marco e formata
da un’équipe di specialisti che per anni ha lavorato sui
passaggi oscuri, anomali o contraddittori dei Vangeli, scoprendo
che tali discordanze non appartengono all’autore originario, ma
sono il risultato di cattive traduzioni o di errori di
traduzione dall’originale testo aramaico (la lingua parlata da
Gesù).
Il risultato di questi lunghi studi, che hanno riempito una
decina di volumi, è sintetizzato in maniera divulgativa in
questo libro. La “retroversione” dal greco all’aramaico ha
dissolto anche qualche pia tradizione. Come quella per cui Gesù
sarebbe nato in una grotta-stalla. Soprattutto non pare vero il
dettaglio degli alberghi e del rifiuto della gente. Gesù,
secondo l’Autore, nacque a Betlemme nella casa paterna di
Giuseppe, che era uno dei discendenti di re David (fu posto in
una “mangiatoia” probabilmente perché al piano inferiore di
quelle grandi case stavano gli animali e c’era più caldo o forse
perché sopra non c’era posto. Se c’era una grotta era dunque di
quelle annesse all’abitazione, come si usava allora).
Ma J. M. Garcia ha riportato alla luce molto altro.
Innanzitutto traduce meglio le parole che l’angelo
dell’Annunciazione dice a Maria. Gli rivela infatti che
l’identità di colui che nascerà da lei come suo figlio è quella
di Dio stesso. E così rivelerà anche a Giuseppe (da qui viene il
timore del giovane che “si ritiene indegno di una tale donna”,
lui che ne era così innamorato da aver accettato anche di
rispettare il suo voto di verginità).
L’autore smonta anche tutte le speculazioni fatte su quelli che
il Nuovo Testamento chiama “i fratelli di Gesù”. Si sono
stampate montagne di libri, ipotizzando altri figli di Maria o
di Giuseppe o l’esistenza di “cugini”. Tutto sbagliato. Il testo
aramaico dei Vangeli mostra che “fratelli” sono chiamati tutti
gli apostoli e in genere i discepoli di Gesù. E il passaggio in
cui si dice che Gesù è sommerso dalla folla, da ore, e “i suoi
congiunti” andarono a prenderlo perché lo ritenevano “fuori di
sé”, in realtà va letto così: i suoi amici gli portarono del
cibo perché era stremato dalla fatica.
Questa retroversione in lingua aramaica permette di ricostruire
la cronaca dettagliata e vivissima, quasi giornalistica, di
tanti miracoli di Gesù la cui confusa traduzione greca aveva
indotto molti critici a giudicarli contraddittori e quindi
inventati.
D’altronde che Gesù abbia fatto quei miracoli è attestato anche
dalle insospettabili fonti ebraiche di quel tempo (raccolte nel
Talmud di Babilonia), cioè dalle fonti non cristiane.
I suoi miracoli sono dunque fatti storici. Riemergono poi le
vere parole di Gesù in episodi cruciali. Per esempio alle nozze
di Cana: egli non rivolge a sua madre parole dure (come parrebbe
dalla traduzione italiana) per la sua richiesta di soccorrere
quei poveretti, ma le dice una frase da cui traspare un’immensa
venerazione: “non per me, bensì per te, donna, è giunta
opportuna la mia ora”. Un’espressione in cui già s’intravede la
missione che egli affiderà a sua madre dalla croce.
Del resto J. M. Garcia dimostra che Maria non rimase a Nazaret,
ma fin dall’inizio seguì la missione di suo figlio con molte
altre donne e molti giovani galilei.
L’autore smonta inoltre la tesi moderna secondo cui Gesù si
sarebbe aspettato – sbagliandosi - una fine del mondo imminente.
Non è così, il professor Garcia svela gli erorri di traduzione
su cui si è basata questa idea maliziosa.
Un altro passo contestato, soprattutto dai protestanti, è
l’investitura di Pietro a Cesarea. Sotto il greco c’è un testo
aramaico davvero clamoroso. L’attuale traduzione italiana
recita: “e impose loro severamente di non dire questo di lui a
nessuno” (Mc 8, 30). Ma l’originale recita: “E (Gesù) impose
loro severamente di vedere sempre in lui (in Pietro, ndr) il
Figlio dell’uomo”.
Un’altra idea sballata è quella del “segreto messianico” secondo
la quale “Gesù non fu mai consapevole di essere il Messia”. E’
una invenzione senza fondamento. Dai testi originari “ritrovati”
emerge in modo ancor più impressionante “la coscienza divina di
Gesù”, cioè l’inaudita pretesa di questo uomo, vero uomo a tutti
gli effetti, di essere Dio ed emerge addirittura il suo
desiderio – prima dell’incarnazione – di “venire incontro al
patimento”, cioè di venire sulla terra a dare la sua vita per
“sconfiggere il regno di Satana e far venire il regno di Dio”.
Impressionante anche il momento in cui Gesù lava i piedi ai
suoi amici, investendoli del potere sacerdotale: egli manifesta
loro “la sua contentezza, poiché, grazie a loro, potrà morire
nuovamente, bere di nuovo il calice che bevette sul calvario”.
Dal testo aramaico emerge insomma un Gesù potentemente
determinato e desideroso di soffrire e subire volontariamente
ogni strazio, umiliazione e crudeltà per poter così salvare gli
uomini. Perfino i suoi carnefici.
Illuminante è infine la ricostruzione che l’autore fa degli
eventi accaduti la mattina del 9 aprile dell’anno 30, quando il
sepolcro di Gesù viene ritrovato dalle donne aperto e vuoto e le
guardie sono scappate. Dopo l’arrivo del primo gruppo di donne,
si succedono delle corse concitate da e verso la città e i
vangeli riportano il groviglio di eventi tumultuosi di quelle
ore in un modo che – alle traduzioni odierne – appare confuso.
Ma la ripulitura dagli errori di traduzione riporta alla luce la
perfetta linearità dei resoconti evangelici e l’enormità
dell’evento accaduto quella mattina. Pietro e Giovanni capiranno
ciò che è successo prima ancora che Gesù appaia loro vivo,
perché entrati in quel sepolcro trovano la sindone e il sudario
ancora lì, come non era possibile se il corpo fosse stato
portato via.
A proposito della sindone. I testi tradotti dicono che, dalla
croce, “presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende” (Gv
19,40), ma l’originale aramaico recita: “presero il corpo di
Gesù e lo avvolsero in una doppia tela di lino”. Che è la
perfetta descrizione, rinvenuta oggi, anno 2005, della Sindone
di Torino.
Un resoconto fedele. Del resto “lo scopo di questo libro”, ci
confida l’autore, “è proprio questo: mostrare che i Vangeli non
espongono delle credenze, ma riferiscono dei fatti accaduti”.
Fonte: Il Giornale (13.05.05)
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